LA LEZIONE DI PIANACCIO

Lo confesso: per me è stato amore a prima vista. Dalla prima volta (2022), il mio cuore l’ha riconosciuto e amato, ogni volta l’attesa mi ha resa felice di rivederlo, ogni volta lasciarlo mi ha fatto soffrire.

Cosa avete capito? Sto parlando di Pianaccio, l’angolo verde in cui la nostra comunità ogni estate trova rifugio dalla calura, dal traffico e dall’aria pesante della città. Ma non è solo un cambiamento di luogo e di clima ciò che rende speciale la nostra vacanza: è soprattutto un cambiamento di stile, schemi, abitudini, atteggiamenti, relazioni… è fare un’esperienza di liberazione dalla rigidità, la scoperta che tanto (o tutto?) può essere modificato, perché nulla è immutabile, anche se… “si è sempre fatto così”!!!

Ecco allora che la celebrazione dell’Eucaristia (quando abbiamo avuto un sacerdote) è stata felicemente collaudata al pomeriggio anziché al mattino. Ecco che nella preghiera del mattino e della sera abbiamo provato a mettere al centro il Vangelo del giorno. Ecco che, volendo vivere un’ora di adorazione per la pace con tutta la comunità e non potendo farlo nella cappellina troppo piccola, abbiamo trasformato il prato in uno spazio sacro, cinto dal muro di ortensie. Ecco che ogni nuova settimana è cominciata con un’assemblea di ospiti, suore e volontari, in cui esprimere desideri e richieste, prevedere arrivi e partenze, avanzare critiche e proposte (tutto verbalizzato), cosicchè il programma dei giorni a seguire si delineava con il contributo di tutti, e non solo delle suore. Evviva la sinodalità!

La vita a Pianaccio è piena di sorprese, e più ci stai, più ti alleni ad affrontarle. Può essere uno scorpione nel bicchiere o un serpente sotto un vaso, una cuoca che ci fa lezione di ginnastica posturale (mentre qualcuno preferisce il Tai Chi), l’acqua che non esce più dai rubinetti e che ci costringe a lavarci di meno, un black-out che ci riporta ai tempi in cui non c’era l’ascensore (Andrea però forse non li ha rimpianti) ma che ci regala un’ultima cena a lume di candela… Ancora: una nuova amicizia nata in acqua, nel bel mezzo della piscina di Vidiciatico (Federico e la sua mamma), un benefattore che ci offre un pranzo al Rifugio Segavecchia, le colazioni a 5 stelle preparate nella notte dall’amico fornaio (Alex), i fantastici 15enni romagnoli che ci hanno fatto rivedere i nostri pregiudizi sull’adolescenza… Eravamo lontani ma non scollegati dal mondo: sr Rossella è riuscita a mantenere una sua presenza tra i detenuti della Dozza e a partecipare a nome di tutti alla preghiera a Montesole per le vittime della guerra; agli inviti del Papa abbiamo risposto anche noi da lassù, offrendo anche ai locali la possibilità di invocare la pace con l’Adorazione nella chiesa parrocchiale.

Al termine delle 6 settimane abbiamo raccolto i pareri pro e contro l’esperienza fatta da chi è rimasto fino alla fine (e chi volesse aggiungere il proprio sappia che ci farebbe piacere riceverlo): non tutto è piaciuto a tutti, ovviamente, mentre è stata largamente condivisa la preziosità della dimensione comunitaria. Vivere insieme sotto lo stesso tetto e condividere preghiera, pasti, lavoro, relax, gioco… aiutarsi a vicenda nei servizi concreti, rimediare agli immancabili guasti tecnici, affrontare gli imprevisti, gestire i soliti conflitti, inventare modi per coinvolgere grandi e piccoli, accogliere i nuovi arrivati o i visitatori occasionali… e godere della divina bellezza della natura, che da sola stimola a vivere in armonia con se stessi e con gli altri. Pianaccio è tutto questo e molto altro.  

E i nostri “padroni di casa” come hanno vissuto la vacanza? Ecco una panoramica veloce per rispondere a tutti quelli che mi hanno chiesto notizie in questi giorni, nella consapevolezza che è impossibile restituirvi qui la bellezza multiforme della sinfonia unica creata dalle loro singole originalità.

Luciana prima di partire si è attardata (strano!) per un ultimo saluto: “Ciao ciao mia cameretta, ciao ciao letto, ciao ciao comodino, ciao ciao armadio…” perché il suo nido era diventato quello, così come la sua base operativa era il tavolo a piano terra, dove ha continuato a scrivere e sovrascrivere note e calendari, rappezzare il suo quadernone, colorare fogli, mani e magliette… ma tutto ciò non le ha impedito di suonare cantare ballare imboccare abbracciare riattaccareidenti e sguazzare in piscina come un pesciolino!!! Claudia ha goduto moltissimo della compagnia: di chi ha disegnato con e per lei, di chi le ha dedicato canzoni su sua richiesta, di chi l’ha caricata e portata in giro (non importa dove, l’importante è andare), tanto da chiedere esplicitamente di restare a Pianaccio, pur desiderando anche di rivedere la mamma e di tornare al Centro. Veronica si è esercitata nel lancio del cucchiaio, sport in cui ha ricevuto riconoscimenti, coccole e in più i festeggiamenti per il suo 31° compleanno. Stefania è stata serena e non ci ha fatto mancare i suoi gorgheggi e le sue sghignazzate. Elena ha continuato a dirigere il traffico domestico, amorevolmente arginata da coordinatrice & socie per non farla stancare, ma ha potuto anche dedicarsi ai suoi hobby: uncinetto, shopping, telefonate, misurazione della pressione… e naturalmente partecipare al campo-famiglie della parrocchia, dove si è distinta nell’arte delle barzellette. Insieme a lei anche Laura, che si conferma dotata di energie inesauribili, nelle pulizie, nei laboratori, nei servizi, nel gioco, nelle camminate… e nel parlare parlare parlare par… Adriana si è espressa nelle sue mansioni consuete (stendere raccogliere apparecchiare sparecchiare spazzare) ma finalmente anche nel gioco, nelle grigliate e soprattutto in piscina, dove l’ho vista felice come una bambina. Mery ci ha stupito per la sua connessione con la situazione, pronta a rispondere alle domande e alle battute, attenta agli altri, partecipe nella liturgia, reattiva alle sollecitazioni (talvolta un po’ troppo), contenta di sfoggiare il meglio del suo sorriso e del suo guardaroba nei giorni di festa. Andrea ha recuperato forze e voce; l’appetito non l’ha mai perso. Le sue Ave Marie hanno scandito i giorni e le notti (per la gioia di chi dormiva in zona), ma anche le sue risonanze sulla Parola sono state perle lanciate… (ai porci?). Piero ha conquistato molti cuori, con le sue cartoline, i suoi slanci affettuosi, le sue risate, i suoi sguardi, i suoi sobbalzi, le sue convocazioni con il dito puntato… insomma con tutta la sua arte mimico-gestuale degna di un attore di teatro. Sebastiano non gli è stato da meno: da cacciatore esperto, ha catturato con la sua rete decine di sprovveduti, in casa, per strada, in piscina, al rifugio, in chiesa, dovunque. La sua preghiera insistente ha bussato alle porte del Cielo ogni giorno intercedendo per le persone più care: i suoi genitori, la cugina, l’amico della polenta, don Giovanni, l’Elena, “quello là che ha detto che quando torna mi porta un bel regalo”, ecc ecc… Tatto resta fedele al suo ruolo di chierichetto in alba bianca, al suo amore per la doccia (?) e alle sue parole-chiave: Rosso! Verde! Basta! A casa! Marcello!

Quale lezione portiamo a casa da Pianaccio?

Innanzitutto, la GRATITUDINE per tutti quelli che ancora rendono possibile un’esperienza tanto bella quanto diversa dal nostro standard abituale (niente Centri Diurni, né servizi educativi, nessuna OSS ad aiutarci, meno volontari ma più stabili e conviventi).

Poi, la CONSAPEVOLEZZA della complessità: i preparativi, la manutenzione, la gestione economica, gli approvvigionamenti, l’assistenza sanitaria, il coordinamento dei volontari, la logistica, l’animazione, la cura per la liturgia… solo un gioco di squadra può far funzionare un simile “baraccone”. In un’epoca che è in continuo cambiamento e che ci chiede di rinnovare le modalità di gestione per renderle sostenibili oggi, con quelli che siamo (e che non siamo più). In questa squadra c’è posto per tutti e ognuno può (deve) metterci il suo pezzetto, senza sensi di colpa e senza presunzione, senza dare per scontato che ci pensi “la suora” o… la Provvidenza (che non è mai mancata, ma che agisce attraverso di noi).

Infine, la bellezza del FAR FAMIGLIA in questa miscela di sacro e profano, divino e umano, contemplazione e azione… che da sempre caratterizza le Case della Carità, una ricetta da custodire e tramandare come strumento della Chiesa per la testimonianza del Vangelo. In montagna come in pianura. Ma… ora che siamo tornati in pianura, voi che siete la nostra famiglia, DOVE SIETE?

A questo punto, lascio la parola ad Andrea: BASTA CHE TI MUOVIIII!!!!

Sr Antonella

Cdc di Corticella, 29 settembre 2025

Prontoooooo???? Io ci sono, voi ci sieteeee????

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Ponti di Speranza

01 giugno 2025 – Festa della Casa della Carità – Solennità dell’Ascensione

Ecco i momenti salienti della nostra festa:

La S.Messa in Parrocchia

Per la nostra casa della carità, frutto bolognese del Concilio e figlia di questa comunità parrocchiale “in uscita”, perché continui ad essere segno e strumento dello Spirito Santo che anche oggi ci incoraggia e ci invia al mondo per testimoniare quanto Dio ci ama, così come siamo.

Il momento di preghiera in giardino

La festa dell’Ascensione al cielo del Signore è il mistero della vita di Gesù a cui è dedicata la nostra Casa della Carità di Corticella.

Rendiamo grazie al Signore di tutta la vita che ci ha donato in questo anno e gli chiediamo che la festa della sua Ascensione illumini, ispiri e incoraggi la nostra vita insieme, il cammino comunitario e di ciascuno.

Ascendendo in cielo Gesù ha portato la nostra umanità e la storia degli uomini e delle donne del nostro tempo già in Dio, al sicuro. Al tempo stesso Gesù ci benedice e ci manda ad essere suoi testimoni. E’ quindi una festa che produce un sottosopra tra cielo e terra: la terra è portata in cielo nella divina umanità di Gesù, e il mondo (la terra) è luogo dove il cielo di Dio cammina attraverso i suoi discepoli, riempiti di Spirito Santo.

La Casa della Carità assieme all’Oratorio, alla Fraternità Tuscolano 99 e al Carcere della Dozza, luoghi che arricchiscono la Zona Pastorale Corticella, sono stati riconosciuti, in questo anno giubilare, dal nostro Vescovo, luoghi di speranza. Speranza paradossale perché annunciata attraverso la piccolezza. 

Abbiamo preso sul serio la fiducia con cui Gesù ci fa tutti suoi discepoli e proprio per questo ci aiuteranno, a pregare e rendere lode a Dio, delle testimonianze da questi quattro luoghi ai quali abbiamo chiesto come vivono l’essere testimoni di Gesù, testimoni di speranza, testimoni di come l’Amore di Dio trasforma piccolezza e fragilità in occasione di vita nuova, annuncio di gioia che apre alla speranza.

1° Luogo di speranza: Oratorio Centro Giovanile

Progetto NovaeVitae

https://linktr.ee/NovaeVitae?fbclid=PAQ0xDSwKwGYZleHRuA2FlbQIxMQABp8QDDtkTd5EtrZ7EshbEkDULpc8hIEe9s4vOb3T97telqBDXc3dPrTJXUMSI_aem_nEn6aFG6PohYo6fQzy9pTA

2° Luogo di speranza: Casa Circondariale “Rocco d’Amato” – La Dozza

Commento raccolto dai volontari al momento di lettura del Vangelo settimanale, il martedì pomeriggio assieme ad alcune persone detenute. Nella Festa dell’Ascensione ci siamo chiesti come essere testimoni anche noi, lì dove siamo: al carcere della Dozza, 3°piano, braccio B. 

Quando ho fatto la valigia, perché sapevo che dovevo venire in carcere, ho preso solo un libro con me: la Bibbia di Gerusalemme, quella a copertina rigida. Ma non riuscivo ad aprirla, a leggerla. Ero arrabbiato, lo rifiutavo. Così a un colloquio, l’ho rimandata a casa, sfidando quasi Dio. Durante un’attività, una suora mi ha chiesto: “C’è Dio qua dentro? O è fuori?”, io subito ho risposto “No, Dio è fuori”. Poi quella suora ha insistito per regalarmi un piccolo vangelo. Piano piano ho iniziato anche a tornare a Messa. Ho sperimentato l’assenza di Dio qui dentro. Poi pian piano ho capito che potevo trovarlo anche qui, sotto altre forme. Diciamo che essere qui mi ha costretto a cercarlo. Mentre fuori di qui, Dio era molto presente. Il momento di assenza mi ha costretto a cercarlo in piccole cose.

Per me invece il contrario: fuori non andavo a messa, ma dentro mi sono da subito affidato a Lui e mi ha dato conforto. La prova della sua vicinanza? Quando stavo per entrare qua, ho pregato per avere la forza. Entrato, ho pianto, come tutti, ma dentro ho sentito una forza, mi sentivo quasi sereno. Caspita me l’ha data davvero la forza. Qui vivo il crederci veramente, che magari fuori si era affievolito. E adesso mi trovo io a dire a mia moglie (che, come ero io prima, non va in chiesa) “dai, porta i bambini in Chiesa per Pasqua, almeno che facciano un segno di croce!”.

Ho visto la sua presenza nella disperazione, nella sofferenza, nelle situazioni sbagliate che si vivono qua.

Io credo che nell’incontro con l’altro, trovi Dio. Se ripenso alla mia vita, certi incontri, certe storie sentite raccontare da altri e custodite, sono state esperienze di Dio. Così rileggo anche il mio cammino qui dentro: io, l’altro e Dio.

Appena arrivati qui in sezione c’era la regola (posta dagli anziani che erano già dentro da un pò) che i compleanni non si potevano festeggiare. Noi abbiamo abbattuto questa regola. E li festeggiamo. Anche se uno non vuole, perché non vuole festeggiarlo qui dentro, per mille motivi, noi gli facciamo trovare la torta e non ti dico cosa facciamo per avere pure la candelina (che in carcere non si può detenere). Ma poi uno è contento. Abbiamo cambiato questa cosa.

Essere testimoni è tramandare alle generazioni future, è un passaparola. Portare un’esperienza ad altri. L’essere testimoni è una cosa collettiva. E’ come una spinta orizzontale: come quando si lancia un sasso nello stagno.

3° Luogo di speranza: La Fraternità “Tuscolano 99”

Cura della Fraternità

La Fraternità è una creatura fragile. Ha bisogno di cura e di premura per non fermarsi allo stadio di convivenza.
La Fraternità è come un bambino piccolo: è corredata di quanto gli serve per sopravvivere, ma è fragile e domanda protezione. Non preoccupano le malattie dell’infanzia se viene aiutata ad affrontarle.
La Fraternità è come un orto: ti riempie di frutti buoni se la circondi di cure costanti.
La Fraternità non è una creatura nostra, ma di un Altro che ce l’ha affidata: non avrebbe vita se non le fosse stata donata, ma non avrà vita se non gliela diamo noi.
La Fraternità non resta se viene dopo il resto.
La Fraternità è il nostro primo dono alla Chiesa e al Regno. Il ministero al quale siamo chiamati prima e al di là di ogni investitura clericale. Siamo tutti “curati” della Fraternità.
La Fraternità è il dono che ci scambiamo e rende possibili altri doni.
Se non la cerchiamo non la troviamo, se non la custodiamo avvizzisce, se non la viviamo muore.
Ho bisogno della Fraternità. Posso sperarla come un dono, ma, come un dono, non la posso pretendere.

4° Luogo di speranza: La Casa della Carità

Signore, noi della Casa della Carità ti lodiamo perché ci fa tuoi testimoni, con le nostre vite, così come siamo.

Ci fai costruttori di speranza con le nostre mani….

Quando serviamo le persone, aiutiamo a mangiare chi non riesce, facciamo carezze. Quando lavoriamo stendendo i panni, cucinando le verdure. Quando preghiamo, sfogliamo le cartoline, facciamo braccio di ferro con Andrea, facciamo le braccia della Claudia aiutandola a disegnare. Quando facciamo compagnia mentre gli altri lavorano, quando andiamo al laboratorio e a fare i lavoretti, quando facciamo i disegni, facciamo le coccole e gli abbracci lunghi lunghi.

Ci fai costruttori di speranza con le nostre bocche….

Quando diciamo parole gentili e dolci; quando diciamo parole belle come “ti voglio bene”; quando diciamo le preghiere; quando diciamo a qualcuno “sei bello”; quando assaporiamo il buon gusto dello stare in compagnia, nel fare puzzle; quando viene Sara e altri amici a stare con noi.

Ci fai costruttori di speranza con le nostre orecchie….

Quando ascoltiamo il Vangelo; quando sentiamo la pappa della Stefania che suona e chiamiamo qualcuno; quando sentiamo arrivare qualcuno e lo riconosciamo subito; quando ascoltiamo parlare le persone anche quando si ripetono; quando ascoltiamo la musica scelta da qualcun altro in salone.

Ci fai costruttori di speranza con i nostri occhi… 

Quando stiamo attenti ad esserci tutti, che ci sia Tatto, che nessuno rimanga indietro; quando vediamo la bellezza, la meraviglia, il sole; quando vediamo ciò che ci dà il Signore; quando vediamo tanta gente che passa in Casa della Carità; quando vediamo qualcuno da invitare a cena,controlliamo se c’è posto per tutti e, se no, ne aggiungiamo.

Il Pestacolo

“Un cesto, un ponte e la speranza”

L’ambientazione della storia: due villaggi e due popoli, separati da un fiume e da caratteristiche diverse che alludono a due opposte concezioni della vita. Da un lato, Arco, amante della natura e dei suoi prodotti, prolifico e spensierato (la sua passerella è sulle note di “Cacao Meravigliao”) e dall’altro Baleno, orgoglioso del suo livello tecnologicamente avanzato, proteso alla crescita economica del paese (il suo inno è “Money Money”). Una diversità che resta pacificamente accettata, finchè qualcuno non accende la miccia dell’invidia. Il conflitto che ne deriva risponde alle stesse logiche dei “giochi di guerra” che ben conosciamo e che purtroppo usano armi diverse dalle bolle di sapone (ma sono altrettanto inconsistenti). Alla fine, solo il ponte dell’amore può (potrà) trasformare la contrapposizione in reciprocità, riconciliare i cosiddetti Sud e Nord del mondo e veder nascere “di due un popolo solo” (Efesini 2,14). Questa è la nostra Speranza!

I protagonisti: gli Ospiti collocati al centro… del palcoscenico, mostrando a tutti il loro talento espressivo, la loro disponibilità a prendersi in giro, a giocare con i ruoli ribaltando gli schemi, a fare da specchio a noi “normodotati” e alle nostre carenze e manie. Altro che “poverini”!

Così Luciana (attrice nata), simpaticissima ma anche notoriamente cocciuta nelle sue prese di posizione, diventa la regina che rivendica la propria libertà di scegliere chi sposare, sottraendosi alle trame di chi vuole servirsi di lei per conquistare potere: “Nnno! Io amo un altro!!!” (battuta fulminante, inventata da lei, non prevista dal copione). Accanto a lei Elena, calma e sovrana, autorità indiscussa ad Arco come in casa nostra, si stupisce che le sia sfuggita un’informazione preziosa circa i veri proprietari del cesto sacro: “Eppure io so sempre tutto…” (e il pubblico, che la conosce bene, esplode in una risata). Sebastiano, dipendente dal proprio servo, che dipende a sua volta dalle ambizioni mai soddisfatte del proprio padrone (misteri del servizio), ricorda tanto le dubbie complicità che si creano in comunità per ottenere riconoscimenti e affetto (o qualche regalino). Piero, re poco loquace (a differenza della sua ministra Laura), esprime con una sola battuta tutta la stupidità di chi ancora oggi scatena guerre, senza un motivo serio che valga la pena ricordare: “Mooooh?”. Mery, fiera custode del cesto conteso, è apparsa così consapevole della preziosità del suo contenuto (tre pani fragranti, simbolo della Parola di Dio, dell’Eucaristia e della Carità) da far sorgere la domanda: ne ha colto davvero lo spessore teologico di nutrimento spirituale oppure –come tanti- si è accontentata del livello materiale che soddisfa la pancia?

L’arte teatrale consente queste e altre letture a molteplici livelli… divertendoci e divertendovi, abbiamo lanciato dei messaggi serissimi. Ora tocca a voi coglierli.

e poi Apericena e balli di gruppo… ma non mettiamo le foto per non farvi troppa invidia… 🙂

RispondiPonti di Speranza

Foto Carnevale 2025

C’era una volta… una regina africana appassionata di Bob Marley e due principesse altrettanto scatenate, una donna-ragno più affettuosa che mai, una cow-girl in combutta con il diavolo e un domatore invidioso della criniera dei leoni, un medico indeciso se fare il prete, una coppia di topi celebri in tournée, una fata turchina in cucina e il suo sposo saltimbanco, un’avvenente agente dell’FBI e un paio di piratesse… un’unica suora vestita da suora, le altre… chi le riconosce è bravo! Grandi assenti per virus: Piero e Luciana, di cui abbiamo patito il vuoto incolmabile nelle coreografie. Recupereremo più avanti… nel frattempo, godetevi lo spettacolo!

RispondiFoto Carnevale 2025

La Messa del 3 gennaio 2025

INTRODUZIONE ALLA CELEBRAZIONE DEL 3 GENNAIO 2025

Don Tonino Bello racconta che un giorno, rispondendo alla domanda di un giovane che gli chiedeva la differenza tra basilica minore e basilica maggiore, colto di sorpresa e non senza imbarazzo, si avvicinò alla parete del tempio e battendovi contro, con la mano, disse:

«Vedi, basilica minore è quella fatta di pietre, basilica maggiore è quella fatta di carne. L’uomo, insomma. Basilica maggiore sono io, sei tu! Basilica maggiore è questo bambino, è quella vecchietta, è il signor cardinale. Casa del re!».

Noi,

Casa della Carità,

Oratorio San Savino,

Casa Don Giuseppe Nozzi e

Casa circondariale “Rocco D’Amato”

ci consegniamo per le tue mani, caro don Matteo, alla Chiesa di Bologna perché voglia accoglierci come “basiliche minori”, luoghi di Speranza per i pellegrini di questo Giubileo.

Vorremmo rendere anche visibile questo mandato con un piccolo segno: le quattro pergamene che ti verranno portate all’ offertorio e che, se ci riconsegnerai firmate al termine della Messa, ci impegneranno ad essere Case di Speranza per la nostra Zona Pastorale e l’intera Chiesa di Bologna e per tutti coloro che ci visiteranno. Per questo, verranno affisse all’ingresso di questa casa, dell’Oratorio, della Casa Don Nozzi e del carcere della Dozza.

In modo particolare, ti chiediamo poi di aiutarci a riconoscere in ogni povero, in ogni umile figlio di Dio, la “basilica maggiore”, dimora del Re che regna facendosi servo e chinandosi su di noi.

Ti ringraziamo per la tua visita, perché ci avvii e ci accompagni in quel cammino giubilare che porta anche noi a chinarci sui nostri fratelli e sorelle, dimora di Dio.

In questi giorni vediamo venire da lontano tre re per adorare il Figlio di Dio in un bambino. Noi ci mettiamo in cammino per riconoscere e servire il Re che dimora in noi. Nella speranza che il suo Regno venga.

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